“Ci vediamo al Parco Sud?” non lo sentiremo dire in giro. Non è certo uno di quei luoghi verdi recintati in cui si portano i nipotini a giocare sulle altalene. Ma degli spazi del Parco Sud, talvolta senza nemmeno saperlo, godiamo noi cittadini di 60 Comuni del semianello ovest/sud/est della Città metropolitana di Milano. Il Parco Agricolo Sud Milano è infatti classificato come “di cintura metropolitana”: si tratta dell’insieme di molte zone verdi, naturali o regolarmente coltivate, che disegnano una cornice discontinua e frammentata, ma con canali di collegamento – corridoi ecologici tra il bacino del Ticino e quello dell’Adda -, attorno al capoluogo. E’ caratterizzato da una storica rete di acque, di superficie e sotterranee, che generano un’agricoltura tra le più produttive d’Europa: alle porte di Milano, sì. E ospita cascine, castelli, abbazie di grande valore storico e culturale e aree naturali riconosciute a livello europeo: fuori dalla porta di casa nostra, sì.
Non ci sono cancelli sul suo perimetro, e non ci potrebbero essere: 47.000 ettari sono troppi da recintare, eppure su di essi il Parco mette d’accordo tutte e 60 le Amministrazioni che decidono in merito alle aree agricole e forestali che il Parco tutela da quando è stato istituito, nel 1990. Ecco il nodo: i Comuni nel loro insieme hanno diritto di decidere, perché il Parco è –letteralmente– spazio vitale per i loro territori iperurbanizzati, ossigeno per i loro cittadini supercompressi in una delle aree più densamente abitate del Paese.
Fino ad oggi la governance del Parco era affidata a Città Metropolitana, infatti. Fino allo scorso febbraio la presidente del Parco era Michela Palestra, sindaca di Arese nonché vicesindaca della Città Metropolitana. Oggi Daniele Del Ben, già sindaco di Rosate. Ma poi Regione Lombardia ha deciso di intervenire a gamba tesa, modificando significativamente con il progetto di legge 218 il testo già in vigore (sicuramente bisognoso di manutenzione, come tante procedure in materia), ma tentando di sfilare ai Comuni competenze, avocando a sé la nomina della Direzione del Parco (non succede in nessun altro parco regionale), attenuando clausole di salvaguardia della sostenibilità ambientale, rimuovendo riferimenti alla pubblicità degli atti. Modifiche scivolosissime, in un contesto economico dove gli appetiti del settore immobiliare e della logistica sono pronti a fare ancor più a brandelli un territorio che in pochi decenni ha subito stravolgimenti sotto gli occhi di tutti.
La mobilitazione di associazioni -ambientaliste, ma non solo-, cittadini (migliaia di firme raccolte in piazza in pochi giorni), e soprattutto amministratori locali è stata vivace: sotto la sede del Consiglio Regionale (e sotto una selva di ombrelli) il 22 novembre in tanti hanno fatto sentire la loro voce. Si è mobilitata la CIA, organo di rappresentanza delle ben 1.024 aziende agricole attive nel Parco, certo non sospetto di pericolose derive anti-Regione, dichiarando che deve “essere scongiurata la visione del Parco come disponibilità di aree da utilizzare, vendere e cementificare a scapito delle imprese agricole”, considerando“ fondamentale che l’agricoltura e l’ambiente siano tutelate e difese nei confronti di qualsivoglia attività diversa da quella per cui il Parco Agricolo Sud Milano è stato creato”.
PD, Movimento 5 Stelle e Civici Europeisti si sono battuti in Aula per contenere i danni, depositando mille tra emendamenti e ordini del giorno: un passo indietro la maggioranza di centrodestra l’ha dovuto fare, sulla nomina del Direttore del Parco. Ma sventare un blitz non cancella le ombre che incombono, come hanno dichiarato tutti gli esponenti del gruppo PD intervenuti nel dibattito.
Se c’è una ragione in più per dare una svolta alle politiche regionali con le prossime elezioni regionali, questa vicenda in tema di tutela ambientale l’ha resa più che mai evidente: è netta la linea di demarcazione tra chi sa che adesso si gioca l’ultima partita per consegnare a chi verrà dopo di noi un territorio sostenibile, e chi rimane ancorato a un liberismo miope e onnivoro. E ancora di più appare contraddittoria una cultura politica di centrodestra che ha fatto della difesa degli interessi di paese un totem, ma non ha nessuna esitazione a espropriare le comunità locali della loro responsabilità diretta sul destino dell’ambiente in cui vivono e producono.
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Paola Pessinagià Sindaco di Rho
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Carlo Borghetticonsigliere regionale PD